Trovo che spiegare a livello teorico l’educazione attiva sia un controsenso, voglio dire, fare una lezione frontale di un’ora sull’educazione attiva sarebbe come pretendere di mostrare il teatro spiegando uno spettacolo o insegnare come si suona uno strumento raccontandolo. Anche volendo risulterebbe di una noia mortale.
Del resto l’educazione attiva è proprio l’approccio che cerca di immergere nell’esperienza la persona che decide di affrontare una materia, un argomento, una storia, per renderla così più viva e interessante.
Trovo che nella formazione dedicata a educatori e operatori l’uso del gioco sia uno strumento valido per sperimentare l’educazione attiva sulle relazioni e sul senso di sé.
Giocando ci immergiamo profondamente nell’azione rispondendo agli stimoli senza troppa razionalità, ci imbarazziamo o ci sentiamo bene senza avere il tempo di filtrare le emozioni.
Poi a mente fredda possiamo riflettere insieme, o intimamente, sulle nostre reazioni: cosa è accaduto quando le nostre sovrastrutture sono crollate, i ruoli sociali sono saltati e il divertimento e la competizione hanno preso il sopravvento sull’autocontrollo?
In un contesto di formazione osservare sé stessi, gli altri, il gruppo e poi parlarne e discuterne, crea consapevolezza. Una volta usciti dal pregiudizio che si tratti solo di “giochi” e accolta l’idea che nel gioco si vive o si muore, si vince o si perde, si rispetta la regola o si bara spudoratamente, si accolgono tracce che sedimentano e fanno recuperare osservazioni irrazionali che difficilmente avremmo fatto senza vivere l’esperienza sul nostro corpo.
In pratica l’educazione attiva è un approccio all’esperienza: scegliere di viverla anziché parlarne.
Lapo Vannini
Insegnante di italiano L2 a MaTeMù
Lascia un commento