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Missione (impossibile) in Etiopia. Quando la diversa appartenenza è più forte della paura.

CIES Onlus

26 Febbraio 2019

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“Missione in Etiopia? Impossibile!”, mi sono detta prima di partire. “Sola, in chiusura del progetto, dopo aver sentito tutto: un’altra europea che viene a raccontarci come partire e come accogliere i nostri returnees. Mediazione sociale, culturale? Ma che ne sa lei?! Poi è giovane, troppo giovane per insegnare”, risuonava la paura dentro di me. Quella paura di non replicare “just another boring academic training”.

 

“Be yourself”, si affrettano a dirti tutti. Ma come? In un mondo avido per la globalizzazione, dove tutti sembriamo diversi, ma vogliamo essere uguali in the end.

 

Cosa mi differenzia dagli altri, ma mi unisce a loro, i magnifici 13 (trainees) che aspettavano da me l’interessante, l’accattivante?

 

Quando cerchiamo risposte, ci si ritorna alla cultura, alle radici, al credo, alla religione. Eh bene, le mie radici sono lontane dall’occidentalismo e la mia cultura rispecchia ancora il patriarcato in famiglia, dove la mamma…la moglie e poi…la religione: non è quella che si aspettano, io non vengo dal paese del Papa, io sono ortodossa, ecco, come loro! E poi, io sono anche figlia del comunismo tramontato poco dopo essere nata. Quindi c’è un accomunare, c’è una risonanza.

 

“Partiamo dai miei elementi culturali semplici” nel mio intento di disegnargli il quadro culturale a casa loro. “Partiamo da me per arrivare da te”, e così spiegherò l’approccio transculturale. E poi il conflitto, le dinamiche e la comunicazione non-verbale per arrivare al dialogo tra culture e all’accoglienza delle persone fragili; come quelle con cui lavorano loro.

 

E siamo partiti: l’11 febbraio, in un viaggio di cinque giorni all’insegna della mediazione socio-culturale e dei suoi strumenti che ci hanno accompagnato alla scoperta di come accogliere i “ritornati”, le donne fragili, i bambini, ma anche le comunità alla ricerca di protezione, in fuga da guerre, povertà e politiche minacciose (Sud Sudan, Eritrea, Kenya).

 

Tra l’insegnare come accogliere al meglio l’utenza fragile, ho sperimentato anche l’essere accolti da una cultura e un popolo. Così simili alla mia terra, alla mia famiglia in Romania, dove sono cresciuta.

 

Accogli per essere accolto! Impara per poi insegnare! È stata così la mia missione, un’esercitazione continua di “dare per ricevere”.

 

A presto!

 

Ana Ciuban
Ass. A.M.M.I.

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